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Gran Bazar
"Si passeggia in mezzo a mucchi e a torri di broccati di Bagdad, di tappeti di Caramania, di sete di Brussa, di tele dell’Indostan, di mussol
ine del bengala, di scialli di Madras, di casimir dell’India e della Persia, di tessuti variopinti del Cairo, di cuscini rabescati d’oro, di veli di seta rigati d’argento, di sciarpe di tocca a righe azzurre e incarnate, leggiere e trasparenti che paiono vaporose, di stoffe di ogni forma e d’ogni disegno, in cui il chermisino, il blu, il verde, il giallo, i colori più ribelli alle combinazioni simpatiche, si avvicinano e s’intrecciano con un ardimento e un’armonia da far rimanere a bocca aperta; di tappeti da tavola d’ogni grandezza, a fondo rosso e bianco, ricamati d’arabeschi, di fiori, di versetti del Corano, di cifre imperiali, che si starebbe un giorno a contemplarli come le pareti dell’Alhambra. Qui si possono ammirare a una a una tutte le parti del vestiario turco signorile, come nelle alcove d’un aren, dalle cappe verdi, ranciate e color di giacinti, che coprono ogni cosa, fino alle camicie di seta, ai fazzoletti ricamati d’oro e alle cinture di raso a cui non può non
giungere altro sguardo d’uomo che quel del signore dell’eunuco. Qui i caffettani di velluto rosso, contornati d’ermellino e coperti di stelle; i bustini di raso giallo, i calzoncini di seta color di rosa, le sottovesti di damasco bianco tempestate di fiori d’oro, i veli di sposa scintillanti di pagliucole d’argento, i casacchini di terzopelo verde, orlati di piumino di cigno; le vesti greche, armene, e circasse di mille tagli capricciosi, sovraccariche d’ornamenti, dure e splendenti come corazze; e in mezzo a tutti questi tesori, le stoffe prosaiche di Francia e d’Inghilterra, dai colori sinistri, che ci fanno la figura della nota d’un sarto in mezzo a pagine di un poema. Nessuno che ami una donna, può passare in quel bazar senza considerare come una grande sventura di non essere milionario e senza sentirsi per un momento divampare nell’anima il furore del saccheggio…". Per godere il Gran Bazaar, questo gigantesco labirinto di strade lungo le quali si allineano qualcosa come 5-6.mila negozi – oltre a banche, moschee, stazioni di polizia, officine, ristoranti – è bene trovarsi sul posto di
buon mattina e sapere che fino a sera occorre vivere la vita del mercato secondo la filosofia orientale: senza avere cioè alcuna fretta di tornarsene in albergo. Mai come all’interno del Kapali Carsi il detto romano del carpe diem è indicato. Bisogna infatti lasciarsi andare, cullarsi nel vortice della confusione che annulla il pensiero e che ti sbatte da una parte all’altra, in un vociare multietnico di lingue e dialetti che riporta direttamente alla Costantinopoli di fin de secle (Ottocento). Come allora, turchi, russi, bulgari, armeni, levantini, gente di ogni razza e colore fanno del Gran Bazaar un immenso centro commerciale; certo non più fantasmagorico ed elegante come ai tempi di De Amicis ma senz’altro più turistico, comunque dove il denaro corre a fiumi. Il cuore del bazar è formato dall’Eski Bedesten o Içbedesten derivato direttamente dall’originario impianto di Maometto II. All’interno del mercato coperto dalla via principale (Kalpakçilarbasi
Caddesi), è alla sua sinistra, ma soprattutto alla sua destra, un intricato dedalo di vicoli e stradine che, a chi non è del posto, possono anche far perdere l’orientamento. Punto di riferimento è il Cevahir Bedesteni (mercato dei gioielli). E da qui che ci si può direzionare verso Kurkçuler Carsisi (bazar dei pellicciai), Sandal Bedesteni (monte dei pegni), Kuyumcular Caddesi (via dei gioiellieri). Appena fuori dal Kapali Carsi, c’è il bazar del libro antico, la Kiliççilar Sokak (l’antica via degli spadai), la Feracecile Sokak (la via dei mantellai), la Yagcilar Caddesi (la strada dei mercanti dell’olio), la Oruculer Kapisi (la porta dei rammentatori), la Uzunçarsi Caddesi (la via del Mercato lungo), la Cadircilar Caddesi (la via delle tende).
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